Capitan Monighetti: "Sono felice"

Intervista a 360 gradi proposta dal Corriere del Ticino al capitano rossoblu, fresco di rinnovo contrattuale con la maglia del Chiasso.

Michele Monighetti sorride. Finalmente, verrebbe da dire. I tifosi del Chiasso non riuscivano a darsi pace: «Ma come – dicevano in coro –, il nostro capitano non viene nemmeno convocato?». «Moni» ha vissuto una stagione singolare in effetti. Da separato in casa quasi. Ha passato parecchio tempo fra panchina e tribuna. Ultimamente però è tornato a vedere il campo. Di più, un suo rigore ha regalato ai momò la prima vittoria del 2018. E poi ha firmato il rinnovo: «Altri tre anni a Chiasso, sono felice» afferma. È l’inizio di una bella chiacchierata.

Gol vittoria contro il Winterthur da una parte e rinnovo del contratto dall’altra. Dopotutto questa stagione non è poi così male, giusto?
«Diciamo che rispetto ai primi mesi va molto meglio. Ho disputato tre partite di fila, giocando anche discretamente. Poi ho trovato il mio primo gol stagionale ed è arrivato il rinnovo. Personalmente è un momento bellissimo, sì. Ma sono felice per la squadra soprattutto: finalmente abbiamo vinto».

Nonostante i gradi di capitano, lei più di altri ha subito la «legge Abascal». Ha passato pochissimo tempo in campo e molto in panca o addirittura tribuna. Perché ha deciso di rinnovare?
«Da quando sono a Chiasso, in effetti, questa è la stagione più difficile. Non è stato evidente sopportare le esclusioni, anche perché sinceramente non capivo cosa stesse succedendo. Io mi allenavo al massimo eppure nulla cambiava: la domenica restavo a guardare. Un grazie particolare va ai miei compagni. Non mi hanno abbandonato, stimolandomi a reagire. E trattandomi come il loro capitano anche se non giocavo. Ecco, io non ho mai mollato e alla fine il mister mi ha concesso una possibilità. Il rinnovo mi è stato proposto da Nicola Bignotti, che ha apprezzato il mio comportamento nei mesi più complicati. Ho lavorato sodo, senza fare polemiche».

Si è guardato intorno quando il Chiasso sembrava non offrirle una chance?
«Sì, credo sia normale. In tutta onestà non mi aspettavo una proposta da parte della società. Ma quando è arrivata non ci ho messo molto per dire sì. Mi è stato chiesto di restare per continuare a svolgere il mio ruolo di leader. D’altronde, a 26 anni dovresti essere un pazzo per non firmare un triennale».

Come va adesso con mister Abascal?
«All’andata gli chiesi una spiegazione e lo stesso ho fatto ad inizio anno. Il mister mi ha rincuorato, dicendomi che nel 2018 sarebbe iniziato un campionato del tutto nuovo per il Chiasso e che avrei avuto le mie opportunità. A me pareva tutto come prima però, nella misura in cui non ho giocato le amichevoli e non sono stato impiegato nelle prime tre uscite in Challenge League. A quel punto mi sono detto: è inutile continuare a cercare un perché, più ti fai domande e più aumentano i pensieri. Con Abascal ad ogni modo il rapporto è sempre stato buono. Sapeva che ero il capitano e lo sa tuttora. Mi ha sempre rispettato. Ora che gioco di più vengo coinvolto nelle sue analisi».

È l’allenatore più «strano» avuto in carriera?
«In realtà mi piace molto il suo lavoro sul campo. Predica un calcio moderno. Ho faticato a capire i suoi metodi a livello di gestione del gruppo. Da parte mia però il rispetto dei ruoli non è mai mancato. Non ho mai dubitato della buona fede dell’allenatore, tant’è che ho accettato ogni sua decisione senza fiatare».

Passiamo al campionato: che effetto fa, per l’ennesima volta, giocare sapendo già di essere salvi?
«Oramai ci sono abituato. Stavolta però è particolare, perché il Wohlen ha detto basta ancora prima di cominciare il girone di ritorno. Gli anni scorsi c’erano di mezzo club in gravi difficoltà finanziarie, ma la salvezza a tavolino arrivava più in avanti. Verso aprile o addirittura maggio. Cosa devo dire? È qualcosa di brutto, è chiaro. Il campionato è stato rovinato. Noi però abbiamo l’obbligo di provarci, di scalare posizioni in classifica. Una squadra come la nostra, piena di giovani o giocatori in scadenza, deve dimostrare ogni domenica il suo valore. Certo, non è evidente perché manca pressione. Sei tu a doverla creare, dal momento che la lotta per non retrocedere è sparita. Ma, ripeto, sarebbe agghiacciante se finissimo la stagione alle spalle del Wohlen».

Si spiegano così le quattro sconfitte rimediate nel 2018, con la mancanza di pressione?
«Quei kappaò sono casuali più che altro. Non ritengo siano legati al fatto di avere già acquisito la salvezza. Nella prima metà di campionato eravamo una sorta di sorpresa, nessuno riusciva a leggere il nostro gioco. Adesso invece gli avversari sanno come prenderci: ci aspettano per colpirci in contropiede non appena commettiamo un errore. Quanto alla pressione, come dicevo è inevitabile non avvertirla vista la situazione. E, ripeto, è un peccato. Un gruppo giovane come il nostro avrebbe compiuto un ulteriore salto di qualità se fosse stato costretto a lottare fino alla fine».

I problemi finanziari sono ormai radicati in Challenge League. Di riflesso, lo stipendio medio di un calciatore nella nostra B è spesso modesto. Facendo i dovuti scongiuri, non ha paura che il Chiasso finisca la benzina un giorno? E ancora, ha mai pensato di smettere per trovare un lavoro più sicuro?
«È vero, la Challenge è una categoria complicata. Ma il Chiasso è una società seria, sa quello che fa e non si spinge mai oltre. Quanto all’idea di smettere, beh, finché avrò voglia e stimoli giocherò a pallone. Adoro la vita dello spogliatoio. E poi attenzione, perché questo è calcio vero nonostante gli stipendi non siano elevati. Sono nella categoria cadetta da otto anni oramai, ma ogni mattina mi alzo con il sorriso pensando alla giornata che vivrò».

In passato ha giocato nelle giovanili dello Young Boys: la Super League resta un’utopia o è un obiettivo? E se un giorno la chiamasse il Lugano?
«Tanti miei ex compagni hanno fatto il salto, riuscendo a trovare un posto nel massimo campionato. Se giocavano con me e ora stanno facendo bene anche al piano superiore, mi dico che allora non sono così scarso. Non nascondo che mi piacerebbe, un domani, confrontarmi con il livello della Super League. Lavoro sodo anche per questo, perché credo sia l’obiettivo di tutti arrivare il più in alto possibile. Il Lugano? Penso sia a posto così. In futuro non avrà bisogno di me. A mio avviso i bianconeri torneranno a giocare l’Europa League».

Torniamo ai problemi della Challenge League: cosa può dirci dei personaggi che hanno cercato di corrompervi per truccare partite?
«In realtà non c’è molto da dire. Ci siamo confrontati nello spogliatoio. Noi vecchi in particolare. Ma nessuno ha avuto la benché minima intenzione di cedere, l’idea non ci ha neppure sfiorato se è per questo. Cose del genere non appartengono al Chiasso. Punto».

Quanto vi ha infastidito l’episodio?
«Parecchio. Con tutte le squadre che ci sono, perché questi personaggi hanno scelto proprio noi per fare i loro affari sporchi? Uno svolge il suo lavoro onestamente, poi arriva certa gente e ti chiede di buttare tutto all’aria. Di rinunciare ai valori nei quali hai sempre creduto. Rispondendo con un secco no, tutti assieme, abbiamo dato un segnale fortissimo alla Svizzera del calcio. Sì, il Chiasso ha dato il buon esempio».

Eppure, da anni la Challenge League e la manipolazione dei risultati si incrociano. Sospetti e inchieste al riguardo non mancano. Le è mai capitato di assistere a qualcosa di strano, detto dell’episodio accaduto al Riva IV?
«Può darsi che altri facciano quello che è stato proposto a noi, non saprei. Al netto dell’episodio denunciato, nella mia carriera non sono mai stato testimone di cose strane né ho mai avuto il sospetto che una partita fosse truccata. Uno, visti i nostri risultati recenti e le espulsioni in serie, potrebbe pensare male dei nostri match. Ma vi assicuro che ci abbiamo sempre messo l’anima».

Intervista a cura di Marcello Pellizzari (CdT)