Rafael: "Quanto affetto a Chiasso"

È l’estate più calda degli ultimi 50 anni quella del 2003.
In Ticino si toccano punte superiori ai 35 gradi, una cosa mai vista. In alcuni ospedali muoiono delle persone anziane, sembra incredibile! L’allarme canicola scatta in giugno e dura sino a fine agosto. Per le società calcistiche è un bel problema: gli allenamenti iniziano a giugno e molte di esse scelgono le località di montagna per prepararsi ma anche lì, ai duemila metri di quota, l’aria non è propriamente fresca. Il Chiasso, neo promosso in Challenge League, resta tuttavia in sede e il presidente Marco Grassi lavora alacremente per allestire una squadra che possa salvarsi tranquillamente e divertire. Ecco che allora dal Brasile arrivano in prova tre giocatori: l’attaccante Rafael e i centrocampisti offensivi Paquito e Guarà. Provengono dalla Juventus di Sao Paulo, un club poco conosciuto a livello nazionale ma assolutamente innovatore: forma giovani talenti e poi li vende sul mercato internazionale. A portarli al Comunale è l’avvocato Stefano Marzocchi, procuratore vecchio stampo di Grosseto e grande estimatore del calcio sudamericano. Conosce Marco Grassi, e in Ticino non ha mai piazzato giocatori. I tre ragazzi, tutti diciottenni sbarcano nella città di Confine il mattino presto e al pomeriggio sono già in campo ad allenarsi con il gruppo. All’allenamento sono presenti tre giornalisti, in rappresentanza dei quotidiani ticinesi. Ad un certo punto, dopo che Rafael ha messo in mostra le sue qualità di punta veloce, tecnica ed estrosa, Schönwetter non può fare a meno di gridare:“Presidente, questo lo devi mettere subito sotto contratto”.
Detto fatto, due giorni dopo il brasiliano e i suoi due connazionali firmano un contratto biennale e per il Chiasso inizia la miglior stagione dell’ultimo ventennio. A certe partite gli spettatori superano le duemila unità. Oggi si arriva a malapena a 400… Altri tempi, altro club: e intanto Rafael (diventato Raffael nel frattempo) di strada ne ha fatta.

Dapprima dà spettacolo nello Zurigo, vincendo due titoli con Lucien Favre alla guida, poi finisce quasi inevitabilmente in Bundesliga, campionato prestigiosissimo per qualsiasi calciatore, in cui veste la maglia dell’Hertha Berlino. Poi, dopo una parentesi non fortunatissima nella Dinamo Kiev, torna in Germania, al Borussia Mönchengladbach, club nel quale gioca tuttora, anche le sue condizioni fisiche non sono al top per via di un problema muscolare. Ovunque sia stato Raffael ha lasciato il segno: gol, dedizione al lavoro, e ottimi rapporti con tutti, tecnici, giocatori e dirigenti. Un bravo ragazzo, insomma, e un buon calciatore. Nei giorni scorsi lo abbiamo raggiunto al telefono per ricordare i vecchi tempi e la sua incredibile ascesa nel calcio che conta. Partendo, tuttavia, dalla pesantissima sconfitta di Coppa contro il Bayer Leverkusen (0-5!).

Cosa è successo Raffael?
Siamo stati sovrastati dal primo all’ultimo minuto. Abbiamo incassato una rete dopo cinque minuti e non ci siamo più ripresi mentalmente. Peccato perché ci tenevamo molto ad andare avanti. Ma non solo: perdere in casa e in questo modo fa sempre male.

In campionato le cose vanno decisamente meglio… 
Siamo a quattro lunghezze dalla capolista Borussia Dortmund e a soli due dal grande favorito Bayern Monaco. Bilancio sinora positivo anche se io non seguo l’onda di chi afferma che la squadra bavarese è in crisi e alla fine di un ciclo. È solo un momento delicato, presto si riprenderà. Una grande prima o poi si riprende.

Tornano al Dortmund capolista: a dirigerlo c’è Lucien Favre, che lei conosce benissimo… 
Non mi stupisce affatto che il mister svizzero sia ai vertici. Lui oltre che un profondo conoscitore della materia è pure un grande motivatore. Ha fatto bene a Berlino, nel Mönchengladbach e si sta ripetendo con il Borussia. Ha saputo rimotivare e rilanciare un ambiente un po' depresso dal dominio del Bayern. Sono molto contento per lui. Meritava una grande squadra. Sono convinto che in futuro possa sbarcare nel campionatzo inglese o spagnolo.

Ultimamente lei non ha trovato molto spazio. Anche contro il Leverkusen era in panchina… La concorrenza è spietata, ci mancherebbe! Ma non sono al cento per cento della condizione fisica. Mi sto recuperando da un infortunio muscolare e spero di riprendermi al più presto la maglia di titolare. Prima o poi ce la farò.

Dal 2003 ad oggi ne è passato di acqua sotto i ponti. In Germania ha trovato una seconda patria…
Diciamo che mi trovo benissimo. Quando sono arrivato a Berlino nel 2008 non ho incontrato particolari problemi perché conoscevo il tedesco che avevo appreso fra mille difficoltà a Zurigo. Mi sono adattatosubito e soprattutto mia moglie si è ambientata benissimo. A quel punto erano gettate le basi per una carriera in crescendo. Ormai mi sono abituato alla vita di qui, sono arrivato giovane e sono cresciuto come persona e come calciatore. Certo, il Brasile ci manca e appena possiamo andiamo a Fortaleza a trascorrere qualche settimana di ferie… 

A proposito di Brasile: avete un presidente nuovo… 
Non mi intendo molto in politica. Spero soltanto che questo Bolsonaro possa essere un buon governante e dare un po' di allegria al nostro paese. Ma il suo non sarà un compito facile, il Brasile ha tantissimi problemi da risolvere. Il primo è la miseria. Tutti promettono di sconfiggerla, alla fine però siamo sempre ai piedi della scala.

Torniamo al Borussia Mönchengladbach: il vostro è un pubblico fra i più caldi della Germania.
Esatto. Attorno a noi c’è grande affetto e sostegno. I tifosi non ti mollano un attimo e anche quando non arrivano i risultati non fanno mancare il loro appoggio. Con il pubblico del Dortmund è il più caloroso della Bundesliga.

In Svizzera lei ha lasciato ottimi ricordi. A Chiasso e Zurigo tutti hanno belle parole per Raffael… 
In Ticino ho trascorso due stagioni favolose. Non tanto per i risultati ma per l’accoglienza ricevuta prima e per l’affetto che i tifosi mi hanno dato poi, quando mi hanno conosciuto. Avevo solo 18 anni e non fu certamente facile adattarmi ad un mondo e ad un calcio nuovo. Ma il club mi sostenne sin dai primi giorni e poi con il tecnico Palui Schönwetter ci fu subito feeling. Se sono diventato un calciatore di buon livello lo devo al Chiasso. Approfitto di questa intervista per mandare a tutti gli amici del Comunale un abbraccio fraterno.

Ha ancora contatti con qualche giocatore di quell’epoca?
Sento ogni tanto Paquito e Juninho e parliamo anche di quei bellissimi tempi. Sono passati già 15 anni ma il giorno che arrivai in Ticino non potrò mai dimenticarlo. Ero impaurito, stressato, timoroso che il provino andasse male. Ma in pochi giorni cominciai ad apprezzare la meravigliosa gente di quella terra.

M.A.


(tratto da il mattino della domenica)