Quando il fuoriclasse giocava in piazza

Il settimanale Cooperazione dedica a la rubrica "Storie di Piazza" a Coldrerio e inevitabilmente, nei racconti dei protagonisti riaffiora il ricordo dell'indimenticato Puci.
(...) Indelebile nei ricordi di Muschietti e di Solcà è la figura di Ferdinando “Puci” Riva, detto Riva IV, uno dei grandi miti del calcio ticinese, nato e cresciuto qui a Coldrerio e scomparso il giorno di Ferragosto di quattro anni fa. «Quando giocava sul campo di via Comacini, tutta la gioventù di Coldrerio andava a Chiasso e si metteva a bordo campo, sempre sul lato sinistro, per vederlo da vicino e sostenerlo», racconta il docente in pensione.
Muschietti vanta un grado di parentela con l’ala sinistra rossoblù: «Ero molto piccolo, ma me lo ricordo ancora quando ci inebriava con le sue serpentine. Legava gli zoccoli ai piedi con un fazzoletto per non perderli mentre correva». “Puci” è rimasto legato a questo comune. «Alla domenica veniva a trovare i fratelli e ci facevamo sempre una chiacchierata insieme», continua Muschietti, che ci tiene a sottolineare la lunga tradizione calcistica dell’Associazione Sportiva Coldrerio, che milita in Terza Lega.
Ma Coldrerio è anche arte e cultura. Solcà vuole ricordare un amante degli studi e della ricerca storica, don Antonio Monti, parroco dal 1898 al 1938. A lui si deve il contributo decisivo nella scoperta del luogo di nascita di Pier Francesco Mola, venuto alla luce nel 1612 e deceduto a Roma nel 1666. «All’inizio del secolo scorso don Monti entrò in contatto con lo studioso Hermann Voss, critico d’arte tedesco che conosceva la figura del Mola artista a Roma. Sapendo che i Mola erano originari della regione dei laghi, iniziò una ricerca nell’archivio parrocchiale, scoprendo l’atto di battesimo di Pier Francesco Mola. Se non ci fossero stati loro due, non avremmo oggi tutte le notizie su questo pittore».
Un angolo della Roma di Mola, lo si può ammirare nella chiesa della Madonna dal Carmine, dove ci sono alcuni affreschi del pittore di Coldrerio risalenti al 1641-42. «Sarebbe bello che ci fosse un interesse maggiore per questo grande tesoro», conclude Solcà.

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