Raffael: “Chiudere a Chiasso? Mai dire mai”

Le vacanze passate a Chiasso dall’attaccante brasiliano ha rinforzato una di più il legame che ormai da oltre 15 anni lo lega alla tifoseria rossoblu.

Non che ce ne fosse particolare bisogno, visto il reciproco affetto che lega Rafa alla piazza, ma l’occasione, considerata anche l’età del ragazzo ora diventato uomo è stato oggetto di qualche riflessione e spunto sia da parte dei tifosi che lo hanno incontrato e dei media che hanno approfittato per intervistarlo. Di seguito (la bella) intervista integrale apparsa quest’oggi sulle pagine del Corriere del Ticino.

Fra il 2003 e il 2005 ha illuminato Chiasso. Gol, assist, finte ubriacanti e qualità infinita. Poi ha spiccato il volo, descrivendo una parabola meravigliosa. Raffael Caetano de Araújo, per tutti soltanto Raffael, è tornato dove tutto cominciò. Chiasso, sì. Per pochi giorni, giusto il tempo di abbracciare amici e tifosi.
L’appuntamento è fissato per le 18.00 all’Hotel Touring. Un luogo speciale, come spiega lo stesso Raffael. «Durante i miei primi mesi in rossoblù fu la mia casa». Sono passati tanti anni e il brasiliano, allora una promessa, oggi è un uomo. E un calciatore affermato, forte di 287 partite in Bundesliga e quasi 60 gettoni fra Europa e Champions League. «Quando posso, però, torno a Chiasso» prosegue il brasiliano. «Le mie amicizie più forti, in Europa, le ho strette qui. E che ricordi quei due campionati».

«Grazie mister»
La leggenda narra che Paul Schönwetter, allora tecnico del Chiasso, costrinse i custodi a chiudere i cancelli dello stadio dopo aver visionato Raffael in allenamento. «Presidente, lo blindi» suggerì al numero uno Marco Grassi. Detto, fatto. «Mi bastò poco per convincere lo staff» conferma l’attaccante del Borussia Mönchengladbach. «Pauli capì subito che avevo qualcosa e di questo, beh, lo ringrazio».
Sognava, il ragazzo. «Ma non mi aspettavo certo di fare la carriera che ho fatto» rivela. «Il salto allo Zurigo, i due titoli con Favre, la Germania. Il mio sogno era giocare in Europa, punto. Direi che non è andata male». Già, è andata benissimo visto che dopo lo Zurigo sono arrivati l’Hertha Berlino, la Dinamo Kiev, lo Schalke 04 e il Borussia. «Sono felice del mio percorso, sono arrivato dove non avrei mai immaginato. E lasciando sempre un ricordo positivo. Adesso, diciamo, mi appresto a vivere il finale. Ma posso già dire grazie».
Il dopo, per un calciatore, assomiglia spesso a un grande punto di domanda. «Ci penso, è chiaro, perché l’età avanza e a fine stagione scadrà il mio contratto a Mönchengladbach. Io, però, cerco di allontanare quel pensiero. Ho ancora una voglia matta di giocare, per due o tre anni almeno farò il calciatore ancora». E allora la domanda è lecita: chiuderà il suo cerchio proprio a Chiasso? «Mai dire mai. Nella vita tutto è possibile. Ora, tuttavia, i miei orizzonti sono cambiati. Ho quattro figli, una moglie. Una famiglia, insomma. Di più, per il dopo carriera abbiamo già scelto la Germania: resteremo là. Ma, tornando al Chiasso, mai dire mai. Davvero».

«Quel gol a Cornaredo»
I vecchi tifosi se lo coccolano. Raffael, quel Raffael capace di regalare gol e sogni, è tornato a Chiasso. Non sembra vero. Gli aneddoti si sprecano, idem gli abbracci. «Ricordo il menu fisso al vecchio Torre. Mario Trivellin cucinava per noi ogni santo giorno. Ci divertivamo tanto con lui». Gli occhi del campione sono lucidi, mentre lo sguardo sembra ripescare dal passato tanta, tantissima felicità ed emozioni a in serie. «Io mangiavo solo cordon bleu, pizza e tiramisù. Non proprio la dieta di un atleta, ma che bontà. Era, quello, un Chiasso bello da vedere, seguito pure in trasferta. C’ero io, c’era il mio amico Paquito, c’era Beck. Mi dispiace che i rossoblù siano ultimi, purtroppo è la legge del calcio». I ricordi, dicevamo. Uno su tutti: il gol all’ultimo respiro nel derby del maggio 2005 a Cornaredo, vinto 4-3. «Mamma mia che roba quella rete, è sempre lì con me. Fu una cosa stupenda. Restando a Chiasso, mi tengo stretto anche un assist a Paquito contro l’Yverdon».

«In campo con mio fratello»
Gol, assist, futebol bailado. E una carriera straordinaria. Ma Raffael è ancora il ragazzino di un tempo: umile, gentile, un po’ timido. Al centro di molti suoi discorsi c’è la famiglia. «Fra i momenti più belli della mia carriera sicuramente ci sono i due anni con Ronny, mio fratello, all’Hertha Berlino. Ho avuto la fortuna di giocare con lui e, soprattutto, di fare una promozione in Bundesliga. Poi cito la doppietta al Werder Brema, nel 2015. Grazie a quel successo blindammo la qualificazione alla Champions: il Borussia non ci andava da un’eternità, tipo da trent’anni o qualcosa del genere. Per me fu un momento bellissimo».

«Un pezzo di Svizzera»
Il tempo delle parole è finito. Raffael si gode l’ennesimo abbraccio con i tifosi, quindi si congeda per fare ritorno in Germania. Lo aspetta un 2020 allo stesso tempo stimolante e difficile. «Negli ultimi anni sono stato spesso infortunato, non mi era mai capitato. Ora, però, sono in forma e ho voglia di chiudere al meglio questo campionato. Ho la fortuna, al Borussia, di essere circondato da tanti calciatori svizzeri. Ho legato in particolar modo con Sommer, come prima avevo legato con Granit Xhaka. Due amici veri. In un certo senso, lassù è come se avessi sempre con me un pezzo del vostro Paese».