Così è: se vi pare..

Ci sono cose che riusciamo ad apprezzare solo quando non le abbiamo più. 
Ci sono anche persone per cui vale la stessa cosa. La loro assenza crea un vuoto che tendiamo a riempire con un ricordo favoloso, solitamente più bello del vero, e quando la "cosa" o la persona dovessero ritornare, ci sembra di non averle mai viste così splendide. È che - in questo caso - non c'è spiraglio di ritorno: né di cose, né tantomeno di persone.

E poi c’era un tempo, mica tanto fa, in cui non esisteva la "tecnologia commerciale". Certo: è probabile che tutte le schifezze oggi rese in parte pubbliche ci siano sempre state. 
Il "sempre" andrebbe però localizzato e collocato nei confini di un determinato periodo storico che (ahinoi) non si riesce a delimitare. Sappiamo quando tutto ebbe inizio. 
È frustrante non sapere quando finiremo di vedere (spesso con i nostri occhi) o di leggere come sia possibile disintegrare un patrimonio socio culturale per utilizzarlo a convenienti scopi e vantaggi (economici) personali. C'è un rischio nell'essere un battitore libero. Specie nel caso di chi non deve vendere un lavoro. Perché non ne si ha un tornaconto. 
Ci si dimentica allora che c'è una linea sottile: la si può attraversare senza neppure accorgersene. In una frazione di secondo, come un fotoreporter in tempi di guerra, ci si trova dalla parte sbagliata. Ed è quello che i professionisti del settore - quelli che hanno merce da vendere - non intendono rischiare. Nemmeno laddove viene stuprata una taluna identità. 
Vedo e sento, ma non scrivo: si è smarrita una delle tre scimmiette. 
Pronti ad improvvisarsi tifosi alla prima favorevole opportunità di guadagno, i "tecnici commerciali" strisciano sul carro del vincitore, ma perseverano nella loro cecità laddove potrebbero dare un senso diverso ed appagante al loro mestiere. 

Sarebbe curioso e magari anche "commerciale" riuscire a fare sedere di fronte ad un pubblico non ammaestrato i protagonisti del nuovo corso. In fuga con le loro "armi" da un paese che hanno devastato, sono arrivati a suon di vibranti sconclusionate dichiarazioni. Operano come fosse cosa loro. Come fosse casa loro. 
“Ciao. Sono la fortuna. Sei sempre senza squadra?”. “Ci sarebbe una buona opportunità per cambiare aria. Verresti in Svizzera a giocare in Serie B? E’ un ottimo campionato. Una piazza senza pretese, scaduta ai minimi storici di interesse, ma comunque un buon passaggio da aggiungere al tuo cv. 
Non ti devi preoccupare della lingua: fino a qualche anno fa parlavano prevalentemente il dialetto del posto, poi siamo arrivati noi e si parla il nostro senza problemi. Giocatori svizzeri ce ne sono pochissimi e quelli che lo sono non rompono i coglioni. 
Si comanda noi. Con le nostre regole. 
Buone prospettive per mettersi in mostra. In Svizzera esiste una Serie A formata da venti squadre che giocano due campionati di livello simile che si chiama Swiss Football League. 
Poi ci siamo noi: la Serie B! Vitto e alloggio compresi. Per il rimborso facciamo metà per ciascuno. Pubblico scarso: sono rimaste un centinaio di persone. Nessuna pressione. Se la mettiamo sull’agonismo facciamo una bella figura. La squadra è buona. Soldi sicuri. Zero stress. Vedrai che ti divertirai!”.

Funziona così, oggi, in una delle realtà storiche del calcio rossocrociato. Sia benedetta la nostra piazza rossoblu: dove per fortuna certe cose e certe persone ancora non ci sono.

- Batter -