Allontanato chi aveva a cuore la società, come se ci fosse qualcosa da nascondere

Una fine inevitabile, di fronte ad una situazione diventata vieppiù insostenibile. 
Non da oggi, non da ieri, ma da ormai diversi anni. 
Il fallimento del Chiasso, lo sanno probabilmente anche gli stessi tifosi rossoblù, era solo questione di tempo. Ed è arrivato, oggi, a porre fine ad oltre 117 anni di una storia sì gloriosa per un centenario abbondante, ma trasformatasi nell'ultimo decennio in un lento e inesorabile declino.

Una premessa. Sopravvivere, nel calcio del giorno di oggi, è difficile e dev'esserlo ancor di più in Ticino, come testimoniano i fallimenti in serie di Lugano (2003), Bellinzona (2013) e Locarno (2018). 
Ma il club di confine, l'ultimo dei quattro a resistere, è stato vittima di una gestione sportiva (certamente) ed economica (evidentemente) scellerata. 
La realtà? Nessuno, tranne Nicola Bignotti, conosce davvero il susseguirsi degli sciagurati eventi che hanno finito per prendere il sopravvento. 
E qui, forse, sta il punto: si è voluto allontanare chi aveva a cuore le sorti della società, come se ci fosse qualcosa da nascondere. Lo si è fatto consapevolmente e in totale autonomia. Lasciando oggi spazio a un grande interrogativo: perché?

E questa è solo una delle tante domande che resteranno senza risposta, siccome (appunto) nessuno darà mai spiegazioni. Degli innumerevoli cambi di proprietà (fittizie), di dirigenti inibiti in Italia, degli allenatori (prestanome) durati un giorno, di trasferimenti fuori portata (Vloet), dei quaranta giocatori tesserati a stagione, e molto altro ancora. Al punto di non ritorno a Chiasso si era insomma già arrivati da tempo: se si dovesse ripartire, perlomeno non lo si farà su queste tristi basi. Ed è questa l'unica buona notizia.

-RSI-